Giornalista esperta di vino, corrispondente responsabile per l’italia della rivista tedesca specializzata Weinwirtschaft.
Il motivo per il quale colgo ogni occasione utile per tornare a Verona, è perché qui mi sento a casa, perfettamente a mio agio. Non solo per l’indiscutibile bellezza dei paesaggi, la grazia e lo charme della cittadina stessa; ma più ancora per una sorta di consenso naturale con gli abitanti del Veronese, quasi una forma di complicità che percepisco con forza, nonostante io sia una straniera. A fondamento di questa empatia, c’è il vino. È il vino ad alimentare il nostro gemeinsinn, come un filosofo delle mie parti – un certo Immanuel Kant – avrebbe chiamato questo “sentire che abbiamo in comune”, i veronesi ed io. Il vino fa parte della nostra vita, ne anima gli snodi salienti, la sua importanza ha un rilievo identitario. Non ho mai incontrato persone nel Veronese che non abbiano alcun legame con il mondo del vino; perfino l’astemia proprietaria della casa che ho affittato durante il recente Vinitaly sapeva parlare con orgoglio di Amarone e Soave, e usciva la sera tutta in ghingheri per partecipare agli eventi di “Vinitaly and the City”.
La mia relazione con i vini della Provincia di Verona si basa su quasi 15 anni di visite a vigneti e aziende, discorsi e risate con vignaioli e imbottigliatori, scambi di opinioni con le diverse anime delle denominazioni, con i consorzi e le cantine sociali. Nei miei articoli per la Weinwirtschaft e altre riviste ho esplorato in lungo e in largo attraverso la scrittura il vostro meraviglioso repertorio viti-enologico, e il rapporto si è approfondito e consolidato nel corso degli anni grazie all’opportunità di fare assaggiare i vini veronesi durante le fiere, Prowein in primis, per raccontarli al pubblico tedesco.
Naturalmente anche la mia nazionalità gioca un ruolo importante in questo rapporto. La Germania importa più vino veronese che ogni altro Paese del mondo e questo da tempi lontani, quando le importazioni erano ancora contingentate. I tedeschi bevono ad esempio più del 40% dell’intera produzione del Lugana, e non solo durante le loro vacanze sulle rive del Lago di Garda. Anche quando cammino lungo le strade di Verona, o mi ritrovo a fare colazione in un albergo di Soave, vengo spesso raggiunta dall’eco della mia lingua materna. E ogni volta che ciò accade, mi sento un po’ combattuta: orgogliosa di avere connazionali tanto buongustai, ma non senza qualche imbarazzo per il cliché negativo che accompagna le scelte “al risparmio” del tedesco medio. E tuttavia anche in questo senso credo che di progressi ne abbiamo fatti parecchi: a fronte di tanti tedeschi notoriamente prudenti e “tirati”, si affacciano oggi sul mercato italiano anche molti consumatori più consapevoli e disposti a riconoscere il giusto prezzo alle tante bottiglie dei vini veronesi che meritano un supplemento di attenzione.
Verona Wine Top mi ha regalato un’esperienza unica. Mai in vita mia ho potuto immergermi in una degustazione così complessa, coinvolgente e variegata di tutte le denominazioni della provincia di Verona. Mai in vita mia ho avuto sotto il naso 156 vini, che si presentavano già tutti come vincitori. Con questa impressionante cifra l’edizione 2018 del concorso Verona Wine Top ha non solo stabilito un record, ma anche dimostrato la crescita della qualità media in tutte le denominazioni della Provincia. Sono vini tra di loro quanto mai diversi nel carattere e comunque profondamente complementari e ben amalgamati nell’insieme.
Il Soave, che ha appena presentato non solo le 33 unità geografiche ma anche – prima denominazione italiana – la sua candidatura GIAHS-FAO, ha proposto vincitori che incarnano davvero fino in fondo le profonde differenze tra le realtà vinicole: dal piccolo produttore purista e cool, che lavora artigianalmente i suoi terreni basaltici, fino alle cooperative dallo smaliziato know-how tecnologico, che sanno rispondere con efficacia alle richieste del mercato senza snaturare l’identità della tipologia. Il Custoza, con la sua freschezza spesso di impronta agrumata, che sembra uscire dall’ombra e riscattare una più adeguata notorietà. Il sapido Lugana, che oltre a un florido mercato possiede tante risorse espressive e si va sempre più affrancando da quei residui zuccherini un po’ ruffiani che ne penalizzavano talvolta la reputazione. Il Valdadige con i suoi bianchi nitidi e fedeli alla tipicità dei vitigni. L’exploit dei Chiaretto, che rilascia nuova energia alla zona del Bardolino. Incuriosiscono i bordolesi balsamici di Arcole e la rara DOC Merlara; ma in tema di bollicine un palco particolare si merita il Durello, che tra i vincitori di Verona Wine Top ha schierato un fuoriclasse di livello internazionale, una specie di Hans Peter Briegel del Metodo Classico. Per le bollicine di questo vitigno unico, che trova da secoli il suo habitat ideale sulle pendici vulcaniche dei Monti Lessini, è stata recentemente ratificata una scelta lungimirante: la DOC distingue adesso fra il Durello vinificato con il metodo Martinotti (d’ora in avanti: Lessini Durello) e quello vinificato con il Metodo Classico (Monti Lessini).
Last but not least, la Valpolicella mette sulla bilancia tutto il suo peso in termini di quantità e qualità, e propone coinvolgenti sorprese tra le etichette del Ripasso, anche in versione bio, come tra quelle del Valpolicella Classico, con tanta grinta e succosità, per poi sfoggiare tutta la classe aristocratica delle vecchie annate dell’Amarone. Senza ovviamente mai dimenticarsi dei Recioto, che siano chiari di Soave o scuri della Valpolicella, perché chiudono con avvolgente e generosa golosità la grande parata dei vini veronesi.
E mi chiedete davvero ancora perché a Verona mi sento a casa?